L’appiattimento culturale, così come la sempre più insistente dipendenza umana da modalità di vita fast life, ha condotto Gino Veronelli ad inserire nel dibattito nazionale lo strumento delle De.Co. per la tutela di quelli che lui amava definire “giacimenti gastronomici” d’Italia, facenti parte di un patrimonio storico e civile che affonda le sue radici nella stessa antichità umana. L’istituzione della De.Co nasce quindi quale mezzo di salvaguardia delle produzioni territoriali ma, soprattutto, come strumento concesso all’uomo per iniziare a «patteggiare con la terra».
La “pizze a furne apierte”
A Biccari le De.Co. vengono riconosciute per la prima volta nel 2011: la “pizze a furne apierte” è il primo prodotto ad essere riconosciuto come De.Co. e non poteva essere diversamente considerato che è storicamente il prodotto più rappresentativo della gastronomia locale. Secondo la tradizione, in assenza di tecnologie specifiche per controllare la temperatura, i vecchi fornai utilizzavano metodi empirici per verificare che il forno avesse raggiunto la gradazione ottimale per la cottura. Uno dei metodi utilizzati era il seguente: il fornaio prendeva dall’impasto (fatto lievitare in un grande fazzoletto) un pezzo di pasta e lo adagiava, senza teglie, direttamente sul piano cottura del forno, lasciando la parte anteriore aperta. Prima di quest’operazione, il panettiere “munneliave” (preparava), il forno passandogli uno straccio umido all’interno. Dopo pochi minuti, quando appunto questa pasta schiacciata era cotta, il forno raggiungeva la temperatura ottimale per la cottura del pane, passando dalla classica colorazione rosso mattone a quella bianca incandescente. Si otteneva in questo modo una “schiacciata”, antenata dell’odierna “pizze a furne apierte”, che veniva gustata al momento, nell’attesa della cottura del pane.
L’impasto originariamente era quindi il medesimo del pane: farina, acqua, patate, lievito e sale. Con gli anni, l’impasto è stato arricchito con ingredienti semplice per rendere la schiacciata ancora più gustosa. Dal secondo dopoguerra, infatti, si aggiunsero olio (rigorosamente prodotto dagli oliveti biccaresi), origano e, a gusto, del peperoncino piccante.
Gli altri prodotti locali che hanno ottenuto questo prestigioso riconoscimento sono l’olio extravergine di oliva, il cacioricotta di capra (“U’ Mascjuottele”) e la salsiccia di maialino nero.
L’olio extravergine di oliva
L’olio extravergine di oliva di Biccari è legato agli uliveti presenti nel territorio comunale. Di fondamentale importanza risultano infatti le caratteristiche degli ulivi e del terreno che per costituzione conferiscono caratteristiche organolettiche particolari all’olio. Dal punto di vista analitico si presenta con un valore di acidità intorno allo 0,3 e con un numero di perossidi intorno alle 9 unità che ne garantiscono una shelf-life di oltre 18 mesi dalla produzione. L’olio extra vergine di oliva di Biccari nasce dalla lavorazione di olive invaiate raccolte dalle folti chiome della varietà cultivar Ogliarola. Si narra che, l’Ogliarola biccarese si sia insediata nel territorio molti secoli fa con l’arrivo della civiltà greca.
La tipicità dell’olio è dovuta alla vocazione pedo-climatica che ha permesso di potenziare le caratteristiche intrinseche della cultivar rendendola definitivamente autoctona. Al palato l’olio biccarese è molto gradevole in quanto dolce con un retrogusto leggermente piccante che ne esalta l’aroma.
U’ Mascijuottele
U’ Mascijuottele, è un formaggio ottenuto dalla lavorazione del latte di capra. Formaggio senza maturazione di gusto fresco, lievemente salato, senza crosta. L’odore del Cacioricotta è delicato, con sentori di erba e il sapore è dolce. Può essere consumato fresco oppure, dopo una quindicina di giorni, come formaggio da grattugia. Si prepara solitamente nei mesi da giugno a settembre, giacché la sua produzione è legata al periodo di maggior produzione di latte caprino. La capra Garganica è un’ antica razza originaria del promontorio del Gargano. Grazie al fenomeno della transumanza, con il quale i pastori nei mesi estivi si spostavano verso i freschi monti del sub-appennino dauno, questa specie è diventata abituale anche nel Comune di Biccari.
Negli ultimi anni il numero dei capi è drasticamente diminuito nonostante le caratteristiche di rusticità e adattabilità della razza, che la rendono perfetta per l’ambiente pedoclimatico montano. Ha duplice attitudine, da latte e da carne. Allevata allo stato brado, è immediatamente riconoscibile alla vista: pelo lungo, liscio e corvino, testa caratterizzata dal ciuffo e dalla lunga barba sotto il mento, corna un po’ appiattite lateralmente, ritorte e con le punte divergenti a descrivere un arco. Il latte della capra Garganica è per tradizione utilizzato per la produzione di formaggi freschi o da grattugia e per il Cacioricotta nato per utilizzare tutte le proteine del latte comprese quelle della ricotta. Era il formaggio storicamente legato ai territori più impervi dove la capra era chiamata, non a caso, vacca dei poveri.
La salsiccia di maialino nero
La salsiccia di maialino nero di Biccari viene prodotta riempiendo un budello naturale di maialino nero di razza apulo-calabrese, con un misto di parti magre e grasse tagliate a punta di coltello e condite con sale e peperoncino. Può essere consumata fresca (previa cottura) o secca (quindi stagionata). La sua produzione è legata ad antiche trazioni locali e a sistemi di conservazione che consentivano di prolungare il consumo di carne anche a periodi di tempo lontani da quello della macellazione.
Il clima particolarmente rigido di inverno, consentiva l’”asciugatura” del prodotto. Non esisteva casa in cui agli immancabili ganci in ferro posti sul soffitto non si appendessero i salumi realizzati in casa. Il clima freddo e secco, unito alla salatura del prodotto rendeva unici questi insaccati.