Nel tacco d’Italia tre itinerari accompagnano alla scoperta della parte meno nota della regione, offrendo l’idea per una vacanza slow o lo spunto per un weekend lontano dai luoghi comuni
Il gusto di una vacanza slow: a questo stato d’animo la Puglia aggiunge qualcosa in più. Come regione più lunga d’Italia, la biodiversità che la distingue passa dall’Adriatico alla Daunia e all’Alta Murgia trasmettendo la sensazione di attraversare mondi diversi, a volte sconosciuti perfino per chi li abita
In Puglia come in Game of Thrones
Nella parte settentrionale della regione, un itinerario dall’altimetria complessa risale dalla costa adriatica fino alle pendici del “tetto di Puglia” attraverso la provincia di Foggia. L’impegno profuso è ampiamente ripagato dalla vastità dei panorami e dal gusto della tavola locale, ma bisogna tener presente che l’intero percorso tra San Nicandro Garganico e Canosa di Puglia richiede allenamento ed energia per pedalare lungo 295 km e risalire 4160 metri di dislivello positivo totali.
Ci si congeda dalle pendici del Gargano per raggiungere Apricena. Il paese è noto per le cave di pietra e la varietà dei materiali locali. Le tonalità si constatano percorrendo via Roma, recentemente trasformata in rambla. Sulla direttrice tra la Villa Comunale e il centro storico, si passeggia in un museo a cielo aperto con opere di scultori contemporanei.
A San Severo è consigliabile una sosta presso il Mat – Museo dell’Alto Tavoliere, allestito nell’antico convento di San Francesco. Qui sono collocati i numerosi resti archeologici che documentano la civiltà della Daunia, ma si trova anche lo “Splash! Archivio Andrea Pazienza”, il centro di documentazione dedicato al celebre fumettista pugliese.
éedalare attraverso le distese pugliesi è un po’ come vivere un western o negli spazi sconfinati di una saga fantasy. L’effetto si conferma appena si raggiunge il promontorio di Lucera, dominato dalla imponente cinta muraria pentagonale della fortezza svevo-angioina di Federico II.
Da questo punto in avanti ci si addentra nei Monti Dauni. Salite e discese si alternano senza concedere pause. È una Puglia che non ci si aspetta quella che si para davanti. Nel centro storico di Troia, la cattedrale fu fondata nell’XI Secolo ed è uno dei più pregevoli esempi di romanico pugliese. Il suo rosone ad undici razze ha un potere mistico, si dice catturi il raggio di sole più alto nel solstizio d’estate.
Giunti a Biccari, ci si trova ai piedi del Monte Cornacchia, vetta più alta della Puglia e area riconosciuta come “Zona Speciale di Conservazione” per lo spazio wildlife che rappresenta. Per immergersi in esso si può optare di pernottare qui, magari approfittando dell’originale ospitalità della bubble room vista lago. A questo mondo genuino, Faeto aggiunge il prelibato prosciutto che porta il nome del paese.
Celle di San Vito, è il comune che segna il passaggio della via Francigena tra Puglia e la confinante Campania. È il comune più piccolo e meno popolato della Puglia e, insieme a Faeto, rappresenta un’isola di lingua francoprovenzale, l’unica nell’Italia centro-meridionale.
Bovino è classificato Bandiera Arancione Touring, annoverato tra i Borghi più belli d’Italia e incluso dal National Geographic tra i luoghi più romantici dove ammirare il tramonto. Queste credenziali dovrebbero bastare a far capire il suo stato di conservazione e l’ambiente in cui è inserita la rocca maestosa sulla valle del torrente Cervaro. Ma nessun articolo, nemmeno questo che state leggendo, potrà mai trasmettere l’atmosfera sospesa tra la terra e il mare avvolta dal vento tiepido profumato di aromatiche che qui chiamano u’ Faugne.
Assecondando l’altimetria bizzarra che fino a qui si è imparato a conoscere, si raggiunge Deliceto. Le suggestioni da saga medievale continuano. La rocca svevo normanna si distingue da lontano per come domina l’abitato e rimanda immediatamente alle scenografie del Trono di Spade.
È anche il punto in cui nella pedalata cominciano a prevalere le discese in direzione del Basso Tavoliere e di Ascoli Satriano. Il Ponte Romano è il depositario delle storie di tutti coloro che nei secoli ci hanno transitato. A schiena d’asino sul fiume Ofanto, segna il confine tra la Daunia e Canosa di Puglia, antico crocevia commerciale e custode di vasti Ipogei.
La ciclovia dell’Ofanto
L’Ofanto, il fiume più importante della Puglia, è anche il filo conduttore della Ciclovia dell’Ofanto, che in circa 150 km unisce l’Irpinia e il Vulture al mare Adriatico. L’itinerario si presta a essere percorso a piedi e in bici. Tra tesori archeologici e meraviglie naturali, il tracciato si articola in tre tappe snodandosi tra strade quiete, sentieri poco battuti e 14 spunti di approfondimento ideali per organizzare un’uscita giornaliera o un fine settimana. La diramazione lungo il torrente Locone collega la Ciclovia all’Acquedotto Pugliese.
Lungo la costa tra i porti dell’imperatore
Un terzo itinerario si sviluppa placidamente lungo la costa pugliese tra Manfredonia e Bari totalizzando 147 km con un guadagno in dislivello di circa 100 metri. È la traccia ciclistica che, per il valore storico delle località toccate, è definita Costa Imperiale. Già dalle prime pedalate sul lungomare di Manfredonia si intuisce che la brezza marina sarà una compagna costante del percorso, che gode del vantaggio di essere praticamente parallelo alla linea ferroviaria e permettere dunque di frazionare l’itinerario a piacimento.
La prima sosta è presso l’area archeologica di Santa Maria Maggiore a Siponto. La chiesa esistente è un capolavoro del romanico pugliese e dialoga in modo stupefacente con la evanescente basilica attigua. Non aspettatevi pietre, perché il suo creatore ha scelto la maglia metallica. Edoardo Tresoldi, artista milanese, ha stupito in passato con le sue opere che sembrano comporre forme impalpabili e con la leggerezza di linee sospese nell’aria. Ma a Siponto si è superato nel ricreare in scala 1:1 la basilica paleocristiana che sorgeva a fianco a Santa Maria Maggiore. Di giorno i fili hanno la definizione di un disegno. La notte diventano una sagoma di fantasma.
Barletta ci accoglie mentre nel nostro immaginario è la città della disfida, dei cavalieri, dei pellegrini. Non a caso sorge lungo la via Francigena ed è teatro di leggende legate a templari e sovrani. In città, la Pinacoteca De Nittis è dedicata al pittore barlettano Giuseppe De Nittis, maestro del verismo vicino agli impressionisti che stregò Parigi.
Attraversando la Riserva Naturale delle Saline di Margherita di Savoia, i fenicotteri rosa donano un tocco esotico al percorso. Raggiunta Trani, la Cattedrale di San Nicola è una quinta che si erge dal mare per diventare un’icona dell’Italia.
Come Trani, anche Bisceglie, Molfetta e Giovinazzo sono borghi affacciati all’Adriatico e che all’Adriatico hanno sempre guardato per l’economia e i traffici. A Bisceglie, l’itinerario ci porta nella preistoria con il dolmen La Chianca. La testimonianza megalitica risalente all’età del bronzo è stata definita dallo storico Mario Cosmai “il più perfetto e il più grande tra i monumenti antichi d’Italia e il più bello e interessante dolmen d’Europa”.
Passando a fianco del faro di Molfetta, tra i più antichi dell’Adriatico, riflettiamo su quante navi si sono lasciate guidare dal suo raggio luminoso, segno anche del ritorno a casa di ogni peschereccio della flotta locale legata al commercio ittico e alla religiosità marinara. Una passeggiata sul lungomare è l’occasione per saggiare la cultura gastronomica con un’ottima zuppa di pesce.
In direzione di Bitonto, ci si allontana momentaneamente dalla costa per raggiungere quella che è conosciuta come la città dell’olio d’oliva, con l’ulivo campeggiante perfino nel vessillo comunale.
Il superamento delle mura di Bari Vecchia segna l’ingresso tra le stradine immerse nei profumi dei vecchi forni e dei panni stesi con la piazza della cattedrale di San Nicola che si para all’improvviso tra le case. Vale una pedalata anche il lungomare monumentale che, in direzione sud, rappresenta un repertorio originale di architettura razionalista.
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Fonte: In bici dal mare al tetto della Puglia, tra castelli, cavalieri e pellegrini La Repubblica