Gli italiani in vacanza cercano natura, enogastronomia ed esperienze autentiche e sportive. Cresce il turismo fra boschi, eremi e borghi dalla Liguria alla Sicilia.Una medicina contro lo spopolamento
C’è un’anima profonda e selvaggia, a tratti inquieta e silenziosa, che percorre l’Italia: è quella degli Appennini, la lunga e verde spina dorsale della Penisola che si snoda per 1.300 chilometri dalla Liguria alla Sicilia, fino alle Madonie. Parliamo della catena montuosa più grande d’Italia, che attraversa 14 regioni, 2.157 comuni (uno su quattro), ettari di boschi, aree protette e luoghi che ancora oggi mantengono la purezza e l’attrattiva del selvaggio. Custodendo la parte più segreta, arcana e spesso dimenticata del Belpaese. Lungo i 1.300 chilometri si alternano montagne, colline e pianori, borghi arroccati, cammini storici, tratturi, antichi eremi, fortezze e castelli che caratterizzano il profilo degli Appennini, la cui bellezza balza agli occhi anche ammirando gli scatti satellitari.
Puntando su innovazione e sostenibilità i piccoli borghi dell’Appennino intercettano i nuovi bisogni dei viaggiatori
Negli ultimi anni si è assistito a una vera e propria riscoperta di questi luoghi, complice la voglia di un turismo di prossimità legato anche al periodo di pandemia, e che ha visto sempre più italiani scegliere come meta turistica il nostro Paese o i territori limitrofi. E così, oltre alle classiche mete alpine, anche quelle appenniniche sono sempre più gettonate grazie alla variegata offerta turistica dei piccoli borghi, che puntando su innovazione, sostenibilità e sul fare rete con i territori, stanno riuscendo a intercettare i nuovi bisogni dei viaggiatori, a contrastare lo spopolamento e a rilanciare al tempo stesso l’economia locale.

Tra natura e tradizione
I dati diffusi recentemente dall’Osservatorio sul turismo montano di Intellera Consulting, che ha fatto un punto sulla stagione invernale e sulla scorsa Pasqua, confermano l’apprezzamento e l’interesse da parte dei turisti italiani anche per l’Appennino centro-meridionale, sottolineando come nel complesso nella Penisola sia cambiata la tipologia dei turisti: meno gruppi organizzati, più coppie (49%) e famiglie (29%). Per effetto delle restrizioni e delle incertezze nelle condizioni sanitarie, spiega l’Osservatorio, “sono cresciuti gli spostamenti di breve e medio raggio, spinti da decisioni sempre più sotto data, con i turisti italiani che oggi rappresentano il 76,2% del totale (rispetto al 54% di prima delle restrizioni)”. Natura, cultura ed eccellenze enogastronomiche sono i principali fattori attrattivi che portano il turista a riscoprire l’Appennino: dalle sue tre vette più alte (Gran Sasso 2.914 metri s.l.m, Monte Amaro in Majella 2.793 metri e Monte Velino 2.487 metri) ai pianori più dolci come la Piana di Castelluccio o l’altopiano del Piccolo Tibet d’Abruzzo, Campo Imperatore. E poi piste ciclabili dall’entroterra alla costa ed eremi incastonati nella roccia, come quelli di S. Spirito e di S. Bartolomeo in Legio situati in Majella, definita la “montagna sacra” per i suoi segni tangibili legati alla storia di Celestino V, ossia il prete eremita Pietro da Morrone, che in questi luoghi visse da asceta. Per chi ama camminare c’è poi la Via Francigena, uno dei cammini religiosi per eccellenza, e per gli amanti della storia, lungo l’Appennino, si trovano ancora le testimonianze e le “ferite” lasciate dalla Seconda guerra mondiale come uno dei luoghi simbolo, l’Abbazia di Montecassino, nel Lazio. Non solo natura e storia, ma anche terre di saperi e sapori, con tanti prodotti Dop e Igp e attività manifatturiere. In particolare, nell’agroalimentare le 149 denominazioni Dop e Igp appenniniche (il 51% sulle 294 totali in Italia), scrive la Fondazione Symbola nell’“Atlante dell’Appennino”, registranno una produzione di 207.000 tonnellate certificate, per un valore stimato in 1,2 miliardi di euro.
In termini di vacanze, le scelte di viaggio sono perlopiù determinate dai cambiamenti delle abitudini, sempre più legate al territorio, alla cultura e alle tradizioni locali, come sottolinea l’Osservatorio Turismo Nomisma – Unicredit. Analizzando i comportamenti dei turisti italiani pre e post estate 2020, dai dati raccolti dall’Osservatorio è emerso, ad esempio, che si è rilevato fondamentale fare lunghe passeggiate all’aria aperta (44%), escursioni in bicicletta (18%) e sport circondati dal verde (20%). Importante anche l’aspetto enogastronomico: il 15% dei turisti durante le vacanze ha fatto un tour di questo tipo e il 10% ha visitato aziende agricole o fattorie didattiche, mentre il 50% di chi ha fatto almeno un viaggio tra giugno e agosto 2020 ha optato per località immerse nella natura, meglio se piccoli borghi (51%). «La pandemia − spiega Alessandra Bonfanti, responsabile piccoli comuni di Legambiente − ha messo in dubbio un modello di sviluppo basato soltanto sulla città e sulle aree metropolitane, e fatto emergere la desiderabilità di un altro modello di vita, di cui l’Appennino può essere un grande interprete. La crescita della domanda di natura, borghi e vacanze non di massa, non è solo un effetto della necessità di distanziamento ma rappresenta una nuova tendenza della domanda di turismo esperienziale e autentico. Un’occasione di crescita economica per molte località ancora deboli nell’offerta – continua – che potrebbero attrezzarsi grazie alla crescita del fenomeno, implementare le attività e offrire al territorio maggiori servizi e opportunità di lavoro anche per chi abita stabilmente quei luoghi, arginando lo spopolamento che ancora qui insiste». A tal riguardo sono diversi i progetti − in primis “Appennino Parco d’Europa”, nato nel ’95 e promosso da Legambiente e Regione Abruzzo con la collaborazione del Servizio conservazione della natura dell’allora ministero dell’Ambiente per coniugare la tutela ambientale con lo sviluppo economico − ma anche le realtà, come ad esempio Uncem (Unione nazionale comuni comunità enti montani), Anci (Associazione nazionale comuni itaiani) e la Fondazione Symbola, che da diversi anni stanno portando in primo piano il tema delle aree interne.
Turismo di comunità in Lunigiana

Dalla Lunigiana, dal cuore della Toscana, arriva l’esperienza del turismo di comunità portato avanti dalla cooperativa AlterEco, che quest’anno compie 25 anni. Una cooperativa che con passione e costanza cerca di fare rete, coniugando il turismo sostenibile con le comunità locali. Tra gli obiettivi di AlterEco c’è, infatti, quello di promuovere e offrire servizi turistici e ambientali: dalle escursioni in montagna al trekking a passo lento, dalle passeggiate dedicate alla scoperta dei produttori e delle realtà locali agli itinerari da percorrere a colpi di pedale, in bici e mountain-bike. «Quest’ultimi – racconta Matteo Tollini, presidente di AlterEco – sono i più apprezzati dai turisti, che in Lunigiana cercano un turismo più lento e dolce, diverso da quello di massa che caratterizza altre zone della Penisola. La nostra cooperativa, che ha sede nel comune di Fivizzano ed è formata da tecnici e guide, gestisce una flotta di bike e in questi anni abbiamo notato che la bicicletta resta il mezzo più amato e utilizzato per spostarsi e scoprire il territorio». Oltre alle escursioni e alle attività ambientali, la cooperativa, con il progetto “Equi Terme comunità ospitale”, sostenuto dalla Regione Toscana, ha continuato il suo lavoro di tessitura sul territorio attivando anche un centro servizi di comunità. «Offrendo – continua Tollini – una serie di sevizi per i cittadini e i turisti, come internet, co-working, servizi di trasporto. Inoltre abbiamo realizzato un museo digitale dell’identità locale, visitabile e anche navigabile con monitor touchscreen a disposizione, oppure con il proprio device mobile». Un luogo della memoria e dell’identità locale, i cui contenuti sono frutto di un lavoro partecipato e dinamico con la comunità di Equi Terme e della Valle del Lucido.
I passi della ricostruzione
Identità, resilienza e comunità locali sono anche le parole d’ordine del Cammino delle Terre mutate, un percorso di oltre 200 km, da Fabriano a L’Aquila, da fare a piedi ow in bicicletta attraverso sentieri che si snodano all’interno del Parco nazionale dei Monti Sibillini e del Parco nazionale Gran Sasso e Monti della Laga. Nato da un progetto corale, muove centinaia di camminatori. In un anno si va dalle 600 alle 700 persone unite dalla voglia di fare un viaggio diverso, di entrare in contatto con l’anima più profonda dell’Appennino centrale, segnata anche dalle ferite ancora visibili del terremoto del 2009 e del 2016. «Quello delle Terre mutate – spiega Daniele Moschini, guida Aigae – è un’esperienza e un cammino di trasformazione interiore che nasce dall’incontro della bellezza della natura con la fragilità delle comunità e dei territori colpiti dal sisma, che con tenacia stanno andando avanti. Chi decide di fare questo percorso, parte per un viaggio lento, di incontro con il territorio. Il Cammino delle Terre mutate cerca di contribuire anche alla “ricucitura” dei territori nel lungo arco di tempo necessario alla ricostruzione». Lo zaino in spalla e l’andare a piedi facilita in qualche modo la conoscenza di questi luoghi, così come il parlare con le persone che si incontrano lungo un itinerario che, a ogni tappa, lascia emozioni e sensazioni diverse, spesso contrastanti.
La Puglia che non ti aspetti
Lungo l’Appennino si trovano luoghi che non ti aspetti. Come Biccari, piccolo borgo pugliese dei Monti Dauni, in provincia di Foggia, che ci racconta l’altro volto della Puglia, quello più montano, meno conosciuto e lontano da un immaginario collettivo fatto di trulli, mare e spiagge. In questo entroterra, abbracciato dai Monti Dauni, ci sono ettari di boschi, borghi millenari, il Monte Cornacchia con i suoi 1.151 metri (la vetta più alta dei Dauni e dell’intera regione), il Lago Pescara e altre bellezze naturalistiche, valorizzate in questi anni «attraverso un turismo esperienziale, ospitale e di comunità che si basa su tre capisaldi: quello l’ambientale-naturalistico, la grande ospitalità e poi i prodotti tipici», come spiega il sindaco di Biccari, Gianfilippo Mignosa, raccontandoci le strategie e i progetti messi in campo. Dal parco avventura, che fa circa 10mila accessi l’anno al bosco didattico, ai Bed & Tree, per vivere l’esperienza di dormire in una casa di legno sull’albero immersa nel bosco, alla Bubble Room, per sentirsi completamente immersi nella natura e ammirare il cielo stellato. E poi nuovi sentieri in mountain bike, il recupero e la valorizzazione del patrimonio immobiliare nel centro storico, abbandonato o inutilizzato, acquistando le case a un euro. «Si tratta di azioni pensate – aggiunge il primo cittadino – per far invertire la rotta, facendo diventare il nostro paese luogo di arrivo e non di partenza. Questi interventi sono stati accompagnati da una crescita complessiva del territorio, creando nuova occupazione nella filiera turistica e determinando una spinta all’economia locale». Il piccolo comune pugliese sta anche dimostrando grande attenzione alle comunità energetiche, coinvolgendo famiglie e territori, e alle fonti rinnovabili. Ha installato oltre 200 kW di pannelli fotovoltaici sugli edifici pubblici e costruito un parco di illuminazione pubblica con lampade a Led e lampioni fotovoltaici nelle aree rurali e nelle contrade periferiche.
All’ennesima Potenza

Fruizione innovativa della montagna, turismo comunitario e innovazione sono le chiavi del successo delle Dolomiti Lucane, sempre più conosciute e amate. Siamo in provincia di Potenza, nell’entroterra della Basilicata, dove si trovano i due piccoli borghi di Castelmezzano e Pietrapertosa, incastonati nella roccia e noti per il “volo dell’angelo” (per volare, legati all’apposita imbracatura e agganciati a un cavo d’acciaio sospeso tra le vette dei due paesi, nda). Un tipo di attrazione inaugurata, prima in Italia, nel 2007 e alla quale si aggiungono le vie ferrate, il percorso delle sette pietre e il ponte nepalese, solo per citarne alcune. «Questo sistema di attrattori – dice il sindaco di Castelmezzano, Nicola Valluzzi – ogni anno porta nel nostro territorio dalle 35 alle 40mila persone, a cui poi vanno aggiunti coloro che fanno trekking e cammini. Nel 2020 e poi nel 2021, anche per effetto dell’emergenza sanitaria, è cresciuta la frequentazione di tratturi e percorsi ciclopedonali. Con le strategie messe in campo, siamo anche riusciti a incrociare le nuove tendenze di un turismo alla ricerca di esperienze, sempre più a contatto con la natura e il territorio». La comunità di Castelmezzano è stata segnalata come una delle tre “best practice” di turismo comunitario individuate sul territorio nazionale nel rapporto mondiale di Fao e Unwto (l’Organizzazione mondiale del turismo) sul turismo di montagna sostenibile. Una “best practice” a cui ispirarsi. (Dal mensile di giugno)
Fonte: www.lanuovaecologia.it